È ILLEGITTIMO L'ART. 18 DELLO STATUTO DEI LAVORATORI, COSÌ COME FORMULATO DALLA RIFORMA FORNERO, RELATIVAMENTE ALLA PARTE IN CUI PREVEDE CHE LA REINTEGRA NEL POSTO DI LAVORO IN PRESENZA DI FATTI MANIFESTAMENTE INSUSSISTENTI, VENGA CONTEMPLATA COME UNA MERA FACOLTÀ, E NON COME UN OBBLIGO DEL DATORE DI LAVORO

Descrizione

    Il Tribunale di Ravenna in funzione di Giudice del Lavoro, con ordinanza del 7 febbraio 2020, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, settimo comma, secondo periodo, della L. 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), "nella parte in cui prevede che, in ipotesi in cui il giudice accerti la manifesta insussistenza di un fatto posto a fondamento di un licenziamento per G.M.O. giustificato motivo oggettivo, "possa" e non "debba" applicare la tutela di cui al 4 comma dell'art. 18 (reintegra)". Nello specifico, il Tribunale in questione ha rilevato come “Il carattere meramente facoltativo della reintegrazione lederebbe il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), in quanto, per effetto di una "insindacabile e libera scelta del datore di lavoro di qualificare in un modo o nell'altro l'atto espulsivo", determinerebbe un'arbitraria disparità di trattamento tra "situazioni del tutto identiche, ossia il licenziamento per giusta causa e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo dei quali si sia accertata in giudizio l'infondatezza (addirittura la manifesta infondatezza per il G.M.O.)". In particolare, secondo il Tribunale romagnolo, tale disposizione legislativa violerebbe finanche l’art. 41 Cost., stante la considerazione per la quale, in tale maniera, si andrebbe ad attribuire al datore di lavoro “un potere di scelta di tipo squisitamente imprenditoriale", che si tradurrebbe nell'intimazione di "un nuovo ed autonomo atto espulsivo". La previsione legislativa censurata, inoltre, lederebbe il contemplato diritto di agire in giudizio, costituzionalmente previsto ex art. 24 Cost., poiché il lavoratore "si troverebbe esposto all'esercizio di una facoltà giudiziale totalmente discrezionale", e sarebbe fortemente compromessa la possibilità di difendersi congruamente. Il giudice a quo prospetta, poi, anche la mancata ottemperanza del disposto rispetto a quanto sancito dall'art. 7 della L. 15 luglio 1966, n. 604 – ovvero in tema di procedure di garanzia previste con riferimento ai licenziamenti individuali – in quanto si intenderebbe ammessa la sola impugnativa in sede di gravame, con conseguente "abolizione di un grado di giudizio".

Specifiche

    Data: 20 Aprile 2021
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